Quando al termine della stagione 2009/10 fu presentato in conferenza stampa, Sinisa Mihajlovic si mostrò con l’onestà che lo ha sempre contraddistinto: un approccio che piacque alla stampa e alla stragrande maggioranza dei tifosi della Fiorentina perché quel carisma così potente riusciva in qualche modo a lenire quella sottile nostalgia causata dall’addio di Cesare Prandelli dopo 5 stagioni sulla panchina viola.

Al momento di chiudersi, non sempre le grandi storie d’amore ci trovano maturi abbastanza per riconoscere che, è proprio la potenza di quello che abbiamo vissuto a farci soffrire così tanto. Il Club viola sapeva che in quel momento c’era la necessità di far dimenticare alla piazza un distacco che avrebbe portato a contraccolpi più o meno importanti (e lo furono.. altro che!), la necessità di affidare la squadra ad un allenatore capace di tener unito un gruppo che con Prandelli aveva saputo sempre buttare il cuore oltre l’ostacolo, rendere oltre i propri mezzi, scalare montagne che ad altri erano inaccessibili. Per Prandelli, per Firenze e per la sua squadra quel giorno di Maggio non sarebbe mai dovuto arrivare: impensabile credere dopo la notte di Liverpool in un distacco così repentino.

Per Mihajlovic, così diverso da Prandelli nel modo di porsi e nel modo di interpretare il calcio, quell’occasione si sarebbe trasformata in un boomerang. E se tante sono le attenuanti da concedergli, tante altre sono le sue responsabilità. Corvino ha ammesso recentemente che la decisione di esonerarlo fu dettata soprattutto dall’evidente contestazione dei tifosi che avevano completamente scaricato l’allenatore, al quale diciamolo, mancarono anche apporti concreti dal mercato (di cui però non furono certo responsabili i tifosi…).

A differenza di quanto accaduto con Cesare Prandelli è evidente che le frizioni siano state soprattutto con la tifoseria e non con la società: Mihajlovic lo ribadì nella conferenza stampa dello scorso Aprile nel pre partita di Fiorentina- Bologna, quando alla domanda riguardante la contestazione di alcuni gruppi di Curva Fiesole contro la ex proprietà gigliata, il tecnico chiosa: “È una situazione strana giocare in casa senza pubblico, ma mi ricordo che quando allenavo la Fiorentina mi davano del sacco di merda anche se vincevamo una partita. Ci sono sempre striscioni contro i Della Valle e non capisco come sia possibile, perchè è una famiglia che ha tirato la squadra fuori dai guai. Dovrebbero tenerseli stretti anzichè criticarli. Quando io stavo lì, preferivo che i tifosi fischiassero me piuttosto che i giocatori, tanto a me non importava nulla”
Non importava nulla. Delle critiche, dei fischi, di qualche parola cattiva che sicuramente sarà uscita dopo le domeniche più nere. Certo è questa la barriera necessaria da mettere tra panchina e curva, tra lo spogliatoio e il resto del Mondo…. il problema è che quell’armatura del “non mi importava” i tifosi della Fiorentina la percepirono come muta ostilità. Mihajlovic probabilmente peccò di una comprensibile ma sfortunata scarsa conoscenza della piazza gigliata che dalla sua seppe gestire non benissimo il “dopo – Prandelli”. Il risultato fu sciagurato, visto che entrambe le parti si privarono del reciproco sostegno, una situazione che Iachini, allenatore piuttosto grintoso e agonista, simile al collega nel modo di interpretare il calcio, sarà attento a non ripetere. A Gennaio si è presentato facendo una carezza a Firenze Iachini, conscio dell’onda di generosità e d’amore che questa città smuove quando si parla di Fiorentina.

Dolore, speranza e futuro. Gli ultimi mesi di Sinisa Mihajloivc sono stati un insegnamento per tutti, soprattutto per il mondo del calcio che per la prima volta dalla morte di Davide Astori si è ritrovato nuovamente stretto attorno alla tragedia di un uomo e della sua famiglia. E’ giusto ricordare da dove parte la storia tra Mihajlovic e Firenze perché sarà importante ed emozionante sapere dove arriverà quel rapporto mercoledì, a 10 anni di distanza. Uno stadio vuoto ma idealmente pieno di applausi.  Il modo di Firenze per abbracciare idealmente l’allenatore della squadra avversaria, così distante e così vicino, così coraggioso e così umano.