C’è stato un tempo in cui Beppe Iachini “picchiava per noi” e anche se la sua carriera di allenatore lo ha portato soltanto adesso, nel 2020, a sedere sulla panchina della Fiorentina, quella del “suo cuore”, quel tempo tornava attuale ogni volta che dal tunnel degli spogliatoi usciva fuori il tecnico ascolano. Un uomo che per la Curva Fiesole un avversario non avrebbe mai potuto mai esserlo. Non mancava mai di salutare la curva Beppe, che da giocare era un mediano con il carattere perfetto per entrare nel cuore dei fiorentini: cuore, corsa e tantissimo sacrificio. Ai suoi tempi, i tempi che furono anche di Baggio, Batistuta e Dunga, se una partita non andava bene di certo non si poteva imputare niente a lui, giocatore e guerriero che sicuramente sarebbe uscito con la maglia intrisa di sudore e terra. Grinta e passione. Voglia di mettersi in gioco, sporcarsi le mani in prima persona. Questo è l’atteggiamento che l’attuale allenatore gigliato ha riportato anche nella sua carriera da tecnico: mai una parola fuori posto, mai un’uscita infelice anche quando avrebbe avuto ragione di protestare. Iachini fa parlare il lavoro, il campo, raccoglie le sfide che i club gli consegnano e solitamente centra l’obiettivo, senza clamori e senza sentirsi un fenomeno.

Arrivò a Firenze nel 1989 dal Verona e con lui in viola arrivò anche Stefano Pioli assieme al quale per altro concluse anche l’avventura nella Fiorentina cinque anni più tardi dopo la risalita dalla Serie B. Allo Stefano allenatre il destino non ha riservato alcuna pietà per quanto riguarda la sua avventura a Firenze. La rivoluzione tecnica inaugurata da Corvino nell’estate 2017, le difficoltà della ripartenza, la contestazione della tifoseria verso la società. Si abbatte una pioggia fastidiosa e ostinata su Firenze e su Pioli, ma la tempesta deve ancora arrivare. 

Tatticamente Stefano promuove un’idea di calcio molto “internazionale”alla quale in molti imputano un’eccessiva istintività e che richiede il massimo stato di forma da parte di tutti gli uomini. Normalizzatore. E’ questa la prima etichetta che gli viene cucita addosso, forse un retaggio delle passate esperienze, forse un’idea ispirata ai suoi concetti di gioco che comunque ci sono, restano ben definiti e lo identificano molto. Stefano Pioli per quanto riguarda la preparazione fisica è un allenatore che punta molto su carichi di lavoro pesanti, fa molta tattica, sogna una Fiorentina “verticale” in grado di arrivare rapidamente in porta sfruttando le accelerazioni dei suoi esterni. I viola sono una squadra che recupera bene palla ma che stentavano in fase di costruzione, soprattutto quando trova le linee di passaggio chiuse: sembra avere poche idee. La struttura posizionale offensiva della Fiorentina era insomma basata sui lanci lunghi a cercare lo scatto di Muriel, Chiesa o Simeone.

Della sua dimensione umana rimarrà non solo la sua eroica e umana forza ma anche quella scelta, la reazione d’orgoglio dopo il comunicato della società nel post sconfitta contro il Frosinone. In un calcio dove gli zeri sul contratto valgono più dei trofei, delle soddisfazioni personali, dove ci si bea  Come rimarrà la corsa sotto la pioggia verso Federico Chiesa dopo il terzo goal segnato alla Roma, l’immagine di lui sotto il settore ospiti a Torino che con i suoi giocatori ricorda Davide Astori. Rimarrà quella conferenza stampa di disperazione prima di Fiorentina – Benevento. La sua ferma volontà nel voler rafforzare il senso di appartenenza ad un progetto per rafforzare di conseguenza anche l’identità tattica della squadra.

Questa sera il Franchi ritrova  un amico. Allena il Milan Pioli, la sua storia adesso è lontana dai colori viola ma sappiamo benissimo che quando arriverà ad uscire dal tunnel sotto la Curva Fiesole, Stefano e Firenze si guarderanno ancora negli occhi e si riconosceranno. In un attimo ricorderanno quello che non si può scordare, un anno e mezzo sportivamente complicato e umanamente insostenibile che i nostri occhi gli ha cambiati per sempre.