“Se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”

La Fiorentina di Corvino, Della Valle e Pioli ci aveva creduto. Giovanni Pablo Simeone nella sua stagione a Genova palesa indubbie qualità, un potenziale importante per un ragazzo classe 1995 che in campo si è scelto un ruolo di grande responsabilità e che a Firenze arriva portando con sé fame e carattere: il bagaglio giusto per crescere, per sognare e per far sognare, per permettere a chi ti sostiene di non pensare più a chi è partito. E’ l’estate del 2017 e con un colpevole ritardo sulla preparazione della stagione (le estenuanti trattative di Corvino…), arriva a Firenze un nuovo numero 9.

E’ argentino. L’eredità più pesante a Firenze. Coltiva la cultura del lavoro Simeone, è forgiato di grinta e determinazione, non fa niente senza metterci impegno e così succede che quando i goal non arrivano si abbia “poco fiato” per rispondere alle critiche.

Che nel destino di Giovanni Simeone ci sarebbe stato il calcio non era scontato: avere in famiglia un talento come il padre Diego, grande centrocampista, grandissimo allenatore, è di per sé già una rarità. Ma che nella sua storia ci sarebbero stati i goal, è forse la variabile più inaspettata: in campo il ruolo di Giovanni è lontano, o meglio dire, avanzato, rispetto a quello del padre che però tatticamente e tecnicamente lo influenza moltissimo. Simeone rappresenta il prototipo perfetto di attaccante che il Cholo ricerca nel suo Atletico, un giocatore generoso e guerriero, un attaccante capace di far sentire sempre il peso della sua personalità. Ma in quella Fiorentina servono i goal….

Hanno sbagliato tutti con Simeone, ha sbagliato anche lui stesso. Snaturarsi in quel che si ama fare, in ciò che siamo bravi a fare non è e non sarà mai una tattica che nel calcio paga. Aver chiesto a Simeone di diventare un “puntero” di assumerne i movimenti e i tempi oltre che inutile era certamente dannoso per il giocatore che inevitabilmente ne usciva frustrato e per la Fiorentina che continuava ad attendere valanghe di goal dall’uomo sbagliato, procrastinando sulla risoluzione di un problema che di fatto non era irreversibile se affrontato in altro modo. 

Simeone è stato e rimane un giocatore del quale avere stima. Non è un attaccante atipico, non è “sbagliato”, ma errato è il ruolo in cui lo si voleva inquadrare a tutti i costi, chiedendogli di non  mettersi così tanto a  disposizione dei compagni, portandolo a pensare che la generosità non sia ripagata sempre con altrettanta generosità, che la sua voglia di correre e di svariare per il campo lo avrebbero portato soltanto a perdere lucidità sotto porta.

Nel momento in cui Simeone e Firenze si sono fatti condizionare dalle realizzazioni è di fatto finita.

In occasione della presentazione del docu-film “El numero nueve”, Gabriel Omar Batistuta ha raccontato come a quel talento di cui lui sentiva essere deficitario avesse negli anni provato ad affiancare tattica e visione di gioco oltre che tanto esercizio tecnico:non solo voleva arrivare davanti alla porta con la certezza di sfondarla, voleva essere certo di fare sempre la scelta giusta. Il goal come obiettivo, come unica conseguenza del lavoro costante e continuo portato avanti praticamente da sempre. Ci vogliono qualità, carisma e DNA per diventare un riferimento del genere, non si diventa Batistuta con un unica stagione in doppia cifra, così come non si diventa Simeone soltanto con generosità e voglia. Ci vogliono qualità importanti per essere quel tipo di giocatore che oggi, nella squadra di Maran svolge un ruolo di fondamentale importanza per tutto il reparto offensivo. Pensa al goal Simeone, ma anche a chi goal potrà farlo. E’ libero di essere il giocatore che vuole e rimanere federe al modello di attaccante che lo rispecchia e che forse, se accettato per caratteristiche e potenzialità, avrebbe potuto continuare la sua carriera a Firenze ancora a lungo.