“Questa non è soltanto la mia storia, vorrei fosse il film di tutti i calciatori, anzi di tutte quelle persone che hanno fatto della propria passione un lavoro, non accontentandosi semplicemente di avere delle buone qualità ma impegnandosi quotidianamente per raggiungere nuovi obiettivi. Per essere migliori di quello che erano senza scorciatoie, passando anche attraverso periodi neri e rialzandosi più forti di prima…”

Gabriel Omar Batistuta sul palco del Tuscany Hall ha il piglio il sempre. Lo sguardo sorridente e fiero, la voce calma e alle volte un po’ rotta dall’emozione, dalla nostalgia di un viaggio bellissimo che lo ha riportato a casa, il luogo del suo cuore delle sue origini, ma per il quale sarebbe già pronto a ripartire.

La prima ufficiale del docu-film “El Numero Nueve” più che un evento è un occasione dove rincontrare chi si è amato, chi non si vede da un po’ ma si porta sempre nel cuore. E’ una serata tra amici dove si finisce inevitabilmente a parlare del passato e non solo attraverso le immagini del film ma attraverso l’atmosfera, il sentimento infinito che scorre nelle parole, negli sguardi di chi quei 9 anni di Batistuta, chiudendo gli occhi li rivede tutti.

Nella nostra identità di tifoso siamo anche chi ha lottato per noi. Il legame con una squadra come la Fiorentina molto spesso non è un scelta ma un destino, una variabile che si lega alla storia di una persona e in qualche modo la influenza. Batistuta si conquista la Serie A con i sette goal segnati in Coppa America nell’estate del 1991, costruisce il suo impero a suon di goal che segna con le sue doti fisiche eccezionali ma soprattutto con la serietà, la determinazione, la responsabilità. “Non ho mai saltato un allenamento perché il calcio era un mio lavoro e se le persone pagano un biglietto per vederti la Domenica, non si può improvvisare niente. Il nostro lavoro inizia il lunedì…”

Da piccolo ti accorgi di essere tifoso della Fiorentina dalle prime adrenaliniche esperienze allo stadio, dalla maglietta o dalla sciarpa della Fiorentina che ti viene regalata per il compleanno, ma soprattutto quando a scuola o al parco un amichetto ti chiede perchè non hai scelto un’altra squadra, magari la sua che vince sempre, che acquisterà il top player della stagione, che sicuramente a Maggio festeggerà il campionato.

“Ma non avete Batistuta” è stata la risposta di tutti i bambini degli anni 90. I suoi goal sono stati il cemento armato del nostro già molto sviluppato senso di appartenenza, la sua mitraglia fiera sotto la Curva Fiesole il nostro grido di gioia, le sue lacrime dopo la rete segnata indossando la maglia della Roma, un insegnamento. Quello più difficile magari, quello dove impari che il calcio non è solo un gioco e che all’ora di vittoria sarebbe seguita quella di sconforto. E proprio in quella ci saremmo resi conto che tifavamo per la Fiorentina per tanti motivi, il primo forse perché, noi eravamo in grado di farcela.