Quando disse addio al calcio giocato nel 2004 Roberto Baggio lo fece alla sua maniera: fiero, silenzioso, ancora determinante. Un assist messo col contagiri a Matuzalem, l’abbraccio con Paolo Maldini e la camminata emozionata ma serena verso la panchina a 5 minuti dal termine. Sulle spalle la maglia numero 10 del Brescia, maglia che proprio insieme a Baggio diceva addio al calcio italiano. Sua per sempre.

Quanto era lontano quel “Divin Codino” dal “Baggino” che si era affacciato il 21 Settembre del 1986 all’Artemio Franchi di Firenze: sulle spalle il peso di quell’infortunio tremendo, di quei 220 punti di sutura, di quei quasi 3 miliardi che il Club di Pontello aveva speso per assicurarselo. Emozionato anche allora ma comunque, sempre, sereno. 

La storia di Francesco Flachi fa un “un giro” molto simile : “il ragazzo che gioca bene” è il beniamino di tutti i tifosi che in lui vedono un gioiello dotato di tecnica, carattere e cuore… viola! Con lui la Fiorentina torna in Serie A ma quella è una squadra che in attacco non può aspettare la maturazione di nessuno. E’ una Serie A stellare quella degli Anni 90′ e la Fiorentina di Cecchi Gori può aver tanti difetti che però sono ben celati da un unico grande pregio: Gabriel Omar Batistuta. Batigol è il sole, agli altri non rimane che girare attorno e ovviamente gioca solo chi gira nella maniera giusta. Chi è più funzionale, chi è più pronto, non per forza il migliore: in quegli anni la spalla ideale di Batistuta è Ciccio Baiano, Flachi aspetta, risponde presente quando è chiamato in causa ma quel talento ha bisogno di spazio, uno spazio che a Genova troverà e saprà riempire con fantasia ed estro. A Brescia Flachi ci finisce un po’ per caso dopo l’esperienza a Empoli: pronti via e dopo 25 minuti un suo goal punisce il Torino. La fine però è amarissima, un lampo che squarcia il cielo e preannuncia la più brutta delle burrasche.

Il 19 dicembre 2009 il Brescia sconfigge il Modena per 1-0: a decidere in extremis il match è una splendida sforbiciata di Flachi che con quella vittoria lancia la squadra di Iachini in fuga solitaria verso la promozione. E’ l’ultimo goal di Francesco che da lì a poche ore sarà fermato a seguito del controllo antidoping.

Beppe Iachini con Brescia e Fiorentina vive il calcio nell’unico modo che conosce ossia con generosità e impegno cieco e totale. C’è stato un tempo in cui Beppe Iachini “picchiava per noi” e anche se nella sua carriera di allenatore non si è mai seduto sulla panchina della Fiorentina, quel tempo torna attuale ogni volta che dal tunnel degli spogliatoi esce fuori il tecnico ascolano, un uomo che per la Curva Fiesole un avversario non potrà mai essere. Non manca mai di salutare la curva Beppe, che da giocare era un mediano con il carattere perfetto per entrare nel cuore dei fiorentini: cuore, corsa e tantissimo sacrificio. Doti che anche a Brescia hanno saputo apprezzare soprattutto perchè proprio con Iachini la società dell’allora Presidente Corioni tornò in massima Serie.

Per Emiliano Viviano la Fiorentina e il Brescia sono due pezzi di cuore, anzi sono la storia della sua vita. Viviano arriva a Brescia dopo il fallimento della Fiorentina e proprio al “Rigamonti” conquista il pass più importante, quello per la Serie A. Sogna Firenze Emiliano, la sogna anche quando a Brescia la sua stella inizia a brillare e contemporaneamente arrivano anche richieste importanti che potrebbero vederlo sicuramente protagonista in massima Serie: Bologna, Milano, Palermo ma Emiliano vede solo viola, e lo ribadisce quando nasce la “sua” Viola, la bimba avuta dalla moglie Manuela, tifosissima del Brescia. Difenderà i pali della Fiorentina nella stagione 2012/2013, il campionato della rinascita dopo due anni di buio totale, il primo di Vincenzo Montella sulla panchina della Fiorentina: un’esperienza che Emiliano porta nel cuore, che non manca mai occasione di ricordare. Sulla sua mancata permanenza a Firenze le chiacchiere si sono poi sprecate…in realtà il peso maggiore sulla trattativa con l’Inter lo ebbe certamente la cifra richiesta dai nerazzurri per il riscatto del giocatore. “Mi tocco, ma adesso a Firenze è tutto troppo bello per essere vero. Il mio desiderio? Sicuramente chiudere la carriera a Brescia tra qualche anno” ha dichiarato pochi giorni fa a Libero. Ebbene si, Brescia-Firenze, ancora una volta.

“Ho trovato un giocatore francese questa sera a Firenze molto scarso…” Scherzava così sui social Luca Toni qualche settimana fa mentre con un video riprendeva la cena insieme a Franck Ribery. Determinante la volontà del fenomeno francese di mettersi ancora in discussione dopo Monaco e rinunciare di fatto alle “pensioni d’oro” in Russia, Cina e Arabia Saudita, il consiglio della moglie e sicuramente, anche la buona parola messa proprio da “Toni gol”.

Luca Toni a differenza di Ribery non è uno di quei giocatori che palesano subito la propria stoffa: che il francese sia baciato da un talento e da una classe sopraffina lo si è visto subito e difatti subito il Club bavarese ha voluto assicurarselo ma su Toni che vince la “Scarpa D’Oro” ci avrebbero scommesso in pochi…. Luca ha il grande merito di scommettere su sé stesso, di essere un professionista eccellente fin da giovanissimo e di continuare a credere che per lui il destino abbia in serbo qualcosa di diverso. Lavora e non si arrende Luca Toni che in due stagioni nel Brescia mette a segno 15 goal e proprio grazie a quella continuità sarà notato dal Palermo di Zamparini. Certo ha già compiuto 25 anni ma a volte per un attaccante, per un bomber, la strada è in salita e per niente scontata. Non un predestinato ma sicuramente un vincente Luca, Campione del Mondo e miglior marcatore della Serie A anche alla soglia dei 40 anni.

“Lasciai Brescia con la consapevolezza che per me fosse finito un percorso e che fosse giusto iniziarne uno nuovo: un giocatore di 25 anni dopo aver giocato con continuità in Serie A capisce quando nella sua carriera c’è spazio per un cambiamento. Credo che tecnicamente il mio percorso a Brescia fosse terminato l’anno precedente alla mia partenza, poi l’arrivo di Baldini in panchina mi convinse a restare anche la stagione successiva…..” Così ci raccontava e si raccontava Daniele Adani parlando con Sport Fiorentina del suo passaggio in maglia viola nel 1999. A Brescia dal 1994 Adani ha sempre ribadito come il legame con la città e la maglia fosse forte e addirittura dopo l’avventura a Milano nell’Inter non esitò a fare la scelta che Toni fece nel 2012 con la Fiorentina: tornare dove era stato bene, dove tutto era cominciato. La seconda volta a Brescia non andò come Lele sperava: una rescissione consensuale del contratto e fiumi di parole scritte sui non pochi attriti con un Club che lui non riconosceva più come il “suo”.

La storia di un altro calciatore che torna è quella di Dario Dainelli. Centrale difensivo della Fiorentina di Prandelli, alla quale era arrivato come Adani, proprio dal Brescia, Dainelli è la prova di come quella squadra potesse non essere la “più” forte ma sicuramente era tra quelle che lavorava meglio…un dato a caso? La Fiorentina nella stagione 2006/07 (quella del -19 per intendersi) subisce 31 goal: la miglior difesa della Serie A (sicuramente quella con il miglior portiere). Una UEFA Europa League sfiorata, pianta, sognata, due Champions giocate (4 sarebbero quelle conquistate sul campo) e 7 goal segnati con una maglia che Dario ha sicuramente amato oltre che rispettato sempre.

E arriviamo alla chiusura di questo lungo excursus “storico” di doppi ex: la sua corsa sotto la curva dei tifosi dell’Atalanta al goal del pareggio firmato, neanche a dirlo da Baggio, è entrata nel cuore di tutti coloro che si riconoscono nel calcio autentico dei sentimenti e delle emozioni, un calcio diretto e “spiccio” nei concetti che però grazie proprio alla sua genuina semplicità fa di Carlo Mazzone l’unico tecnico ad aver allenato, capito ed esaltato 3 numeri 10 divini: Antognoni, Totti e Baggio.