Al goal di Bonazzoli un brivido ghiacciato ha attraversato la schiena del Franchi. E’ stato un attimo, un infinito scossone che che ha rotto per pochissimo l’armonia di uno stadio che ha avuto il grande merito di fermarsi appena un istante e continuare poi, subito, a cantare. E se determinante è stato continuare ad incitare la squadra, ancor più fondamentale è stata la scelta della Fiorentina di continuare a giocare, ricacciare indietro la paura con il cuore in mano e la palla al piede.

La Fiorentina ha il grande merito di aver interpretato bene la partita fin dalle prime battute quando ad essere più arrembante sembrava la Sampdoria: il pressing alto ha permesso alla squadra di Montella di crescere nel corso dei minuti, di portarsi con convinzione sempre più vicina alla porta di Audero, mettendo pressione con varie soluzioni. Mattatore della tre quarti campo è sempre Franck Ribery, che si esibisce in un repertorio dove la costante è la perfezione. Se nella gara contro l’Atalanta si era notata la sua attenzione particolare ai movimenti di Castrovilli,in cui probabilmente il francese ha riconosciuto un potenziale infinito, nella gara contro la Sampdoria è difficile dire se esistono particolari ai quali Ribery non si sia dedicato.

Imprendibile nell’uno contro uno, difficilmente leggibile dagli avversari nei tagli, i suoi assist hanno il contagiri e quando nella prima frazione Badelj sembra un po’ in difficoltà, Ribery arretra addirittura di qualche metro per smistare il gioco e dare nuove geometrie alla squadra. 

Insomma se i due goal della Fiorentina arrivano da Pezzella e da Chiesa, il piede che lancia, ispira e guida i compagni non poteva che essere il suo: beh, non è ben chiaro cosa intendesse chi come Urbano Cairo ha definito l’ingaggio di Ribery una mera operazione di marketing però stentiamo a trovare qualcosa più inerente al calcio vero, giocato, emozionale ed emozionante della prestazione del numero 7 viola.

La Fiorentina ha il grande merito di passare in vantaggio quando deve farlo, di leggere bene il momento più delicato della partita ossia l’avvio di ripresa quando la Samp prova ad alzare la pressione sui gigliati, di aggredire il match quando la squadra di Di Francesco si ritrova in 10 uomini e ad appena 3 minuti dall’espulsione di Murillo siglare la rete del 2-0.

Il demerito macroscopico della Fiorentina è quello di bloccarsi, di non riconoscere nell’unica situazione veramente pericolosa la minaccia di veder clamorosamente ribaltata una partita fino a quel momento perfetta: sugli sviluppi di un calcio piazzato i blucerchiati fanno valere la forza della loro “disperazione agonistica”  e non patendo l’inferiorità numerica ecco che la prima insidia alla porta di Dragowski finisce col far inciampare i viola. 
Quelli che seguono sono dieci minuti confusi dove la Fiorentina in realtà costruisce più che subire, ci prova sfruttando la velocità dei suoi interpreti offensivi migliori e se Doveri non si fosse affidato alla, seppur discutibile, interpretazione del VAR, avrebbe conquistato addirittura il penalty che avrebbe chiuso definitivamente i giochi.

La prima vittoria dell’era Commisso è un meritato, non banale, anche combattuto e difeso 2-1: una vittoria costruita sommando e amalgamando le singole peculiarità degli uomini di un gruppo che dovrà sempre ricercare in sé stessa il talento di Chiesa, il coraggio di Pezzella, l’immensità tecnico tattica di Ribery, le idee del miglior Montella, l’umiltà di Castrovilli e la meraviglia del Franchi. Una squadra e uno stadio che insieme dovranno dovranno continuare a giocare e a cantare. Alzando il volume e l’intensità quando le cose non vano bene.