Braccia al cielo. Come chi vince e festeggia con tutta la voglia che ha addosso di dimostrare agli altri quello che dentro la sua testa e il suo cuore sicuramente sapeva. Un brutto Tour non è abbastanza per gettare ombre sulla carriera dell’ultimo italiano ad aver conquistato Vuelta, Giro e Grande Boucle (sono stati 7 i corridori nella storia capaci di farlo), sul valore assoluto di quello che è senza mezzi termini un campione.

Vincenzo Nibali da Maggio è stato di fatto bersagliato da critiche a volte equilibrate altre volte asprissime, alcune meritate altre piuttosto feroci: insomma, quando lo Squalo ha palesato le prime difficoltà al Tour, eredità delle fatiche di un Giro dove tutti lo volevano vincitore, la delusione perla Corsa Rosa è tornata prepotentemente fuori e niente gli è più stato perdonato. Quando Nibali ha definitivamente abbandonato qualsiasi ambizione di classifica generale al Tour de France 2019 le polemiche mai sopite sul suo conto hanno ripreso impeto.

La sua risposta? Sempre la stessa. Silenzio e fatica. Vincenzo ha un carisma particolare proprio perchè non fatto di parole. Ingombrante nel suo mistero e nelle sue dimostrazioni, che tanto stizziscono i suoi detrattori. Vincenzo Nibali invecchia è vero ma così come pochi dà l’impressione di poter dire ancora la sua. E’ temuto dagli avversari, atteso dai media internazionali.

La vittoria del leader della Bahrain Merida di sabato scorso è però la dimostrazione di quale sia la vera forza dei campioni, ossia la capacità di ricordarsi  sempre chi sono. Di aver sempre stampato in testa il proprio palmarès e le proprie doti, i valori che lo hanno portato fin lassù a Val Thorens. E quindi perchè non vincere, perchè non farsi questo regalo e dimostrare a chi parla che si può essere così grandi nel silenzio?  Nel silenzio e nella fatica.

Vincenzo Nibali conquista la ventesima tappa del Tour, l’ultima alpina e la più attesa perché destino vuole che ci sia in ballo la maglia gialla. Spazio poi alle celebrazioni per il grande successo di Egan Bernal, il più giovane vincitore del dopoguerra, il primo sudamericano della storia del Tour, ma guai a dimenticare che i campioni rimangono sempre tali. Poche (come di consueto) ma chirurgiche le dichiarazioni ai microfoni RAI. Parole misurate che però esprimono la grande sofferenza fisica e psicologica scacciata via con quell’urlo di gioia al traguardo. Perché come i veri i veri grandi, Nibali si piega ma non si spezza sotto le difficoltà: “E’ stato un successo sofferto, difficile. In questo Tour ero partito con l’idea di fare classifica, poi sono esploso. Ho ricevuto un mare di critiche e c’era anche chi mi diceva di andare a casa. Sono voluto restare per onorare la corsa. Ora questa è una liberazione”.  Non una parola per la squadra, la Bahrain-Merida, che Nibali lascerà a fine stagione, una certezza che ben conoscevamo prima dell’inizio del Tour.