Dopo una chiacchierata con Paolo Viberti vi verrà voglia di gustarvi un’intera tappa del Giro anche se non siete precisamente appassionati di ciclismo. Per trentacinque anni una delle penne più più apprezzate del quotidiano torinese Tuttosport per cui ha seguito rispettivamente nove Olimpiadi, 30 Giri d’Italia, 17 Tour de France, numerosi Mondiali o Europei di ciclismo, basket, sci, fondo, slittino, baseball, Viberti adesso cura progetti giornalistici e letterari dove racconta con passione e approfondimento storie di sport e Campioni. Da giovedì scorso su Rai Play e sul sito www.teche.rai.it pronto a regalare una vera e propria abbuffata di passione per le due ruote, presentando l’opera video più completa mai realizzata su Fausto Coppi. Novanta contributi video magnetici che vi riporteranno indietro in un ciclismo e in un’Italia bellissima.

Il Giro d’Italia parte oggi da Bologna e per presentarlo non potevamo pensare a contributo migliore. In esclusiva per Sport Fiorentina la nostra intervista con Paolo Viberti.

 

Scrivere di basket sulle pagine di Tuttosport e ritrovarsi nel 1982 al Giro d’Italia. Come fu il primo impatto?

Sembrerà banale ma con il ciclismo fu amore a prima vista… e non poteva essere altrimenti considerando che a vincere quell’anno fu quello che io giudico l’ultimo dei “grandissimi”, Bernard Hinault, che proprio al Giro segnò l’ennesimo record. Tre volte in Italia, tre volte vincente. Quell’edizione fu speciale anche per un altro particolare non di poco conto, ossia fu proposta per la seconda volta la mitica tappa Cuneo – Pinerolo quella in cui Fausto Coppi nel 1949 si impose con una fuga solitaria di 192 km. Un’impresa diventata letteratura sportiva! A livello professionale e personale quella fu per me un’esperienza unica, la prima vera occasione per stare lontano da casa per un mese, ho ricordi bellissimi anche perché vissuti in un’Italia che è molto diversa da quella di adesso. La tecnologia era un miraggio, non c’erano computer, telefonini e navigatori, ricordo i post gara alla ricerca degli hotel più nascosti nei borghi d’Italia in cui arrivavamo per la prima volta. Le strade ovviamente erano decisamente avventurose, viaggiavamo in 4 in un’auto, ci furono tappe dove il rettilineo più lungo non era che una manciata di metri. che sembrava non finissero mai. Ricordo il passaggio del Giro in un paesino della Sila dove gli abitanti avevano appeso uno striscione agli alberi ricavato da dei lenzuoli cuciti insieme dove con la vernice blu il Comune salutava il giro d’Italia e richiedeva l’energia elettrica. Ed era il 1982! Quello striscione mi colpì a tal punto che pochi mesi più tardi mi informai se la situazione fosse effettivamente cambiata e mi rassicurarono sull’arrivo dell’elettricità anche in quei paesi dove ancora si utilizzavano lampade ad olio!
Un piccolo miracolo del ciclismo, che unisce le persone e accorcia le distanze!

Ha definito il ciclismo come un “immenso romanzo popolare, uno sport che ti possa all’uscio di casa”. Insomma uno spettacolo in grado di coinvolgere ed emozionare tutti…

Il ciclismo è l’unico sport per il quale non ci si deve recare in un luogo specifico e pagare un biglietto per assistere ad una prestazione. Ci sono luoghi unici che hanno fatto la storia, basti pensare a templi come Wembley, il Santiago Bernabeu, il Prater di Vienna, l’Azteca e San Siro dove sono stati scritti indimenticabili racconti che hanno contribuito a consegnare uomini alla leggenda e reso il calcio uno sport ancor più amato e popolare. Per vivere la meraviglia del ciclismo è sufficiente uscire di casa, recarsi con la propria bicicletta in luoghi bellissimi e amati dai più grandi ciclisti di sempre come Oropa, Montecampione, Zoncolan e Stelvio. La “Corsa Rosa” in Italia muove le persone, le emoziona anche se di due ruote non sanno niente e questo secondo me è un potere fortissimo.

Nell’intervista a Marco Pastonesi mi è stato fatto giustamente notare come l’aspetto tecnico, la cronaca in sé stessa, siano componenti molto importanti nella vostra professione dove però risulta ancor più fondamentale la capacità di raccontare. Coinvolgere il pubblico, catturarlo con le emozioni che lo sport genera in modo incondizionato. Raccontare l’uomo oltre l’atleta, una dimensione della quale molti campioni sono gelosi. Tra gli eroi del ciclismo che citava prima, quali sono quelli che La emozionano di più?

Sono completamente rapito dalla storia, le imprese, il talento straordinario di Fausto Coppi. Un professionista unico, un uomo rivoluzionario e un precursore praticamente in tutto, dai sitemi di allenamento, all’alimentazione, al modo di preparare le corse fino ad arrivare alla sicurezza. Propose l’obbligo di utilizzo del casco nel 1959, una norma che è entrata a far parte del regolamento nel 2003. Ho avuto modo di approfondire ancor di più la sua storia grazie al mio ultimo impegno letterario, “Coppi, l’ultimo mistero” un libro che ho scritto con Adriano Laiolo, amico di Fausto, uno degli ultimi che lo vide ancora in sella in Africa. Per quello che ha fatto e quello che ha vinto Fausto Coppi si è consegnato all’immortalità: ci ha lasciati giovanissimo non ancora quarantenne, una fine assurda che non gli ha permesso di palesarsi nei suoi lati meno poetici e che come gli eroi omerici ha lasciato di sé l’immagine di un Campione senza età.
Per quanto riguarda il ciclismo più moderno mi ha esaltato Bernard Hinault e sono tifoso di Vincenzo Nibali: riconosco in lui oltre al grande talento un’ammirevole capacità di non essere “computerizzato” il coraggio di affidarsi non soltanto al calcolo e alla tattica ma anche al cuore.

Chris Froome quando ha fatto una scelta di questo tipo lo scorso hanno ha conquistato anche coloro che lo giudicavano con maggior severità…

Assolutamente sì! Froome ha scelto il ciclismo scientifico all’ennesima potenza ma quando ha capito che serviva un’impresa straordinaria per poter sperare in una vittoria importantissima, ha sconfessato sé stesso e ha provato il tutto per tutto. Il pubblico italiano si emoziona per certe imprese, quelle che tirano fuori l’aspetto più umano e straordinario di questi atleti che sono fortissimi ma anche umili e votati alla fatica: l’Italia che ha applaudito Froome è la stessa che negli Anni ’90 si è esaltata per Miguel Indurain e che due anni fa ha ammesso la superiorità del giovane olandese Tom Dumoulin.

Nel suo libro “I dannati del pedale” racconta le storie di passioni e follie dei grandi Campioni del passato ma anche della storia recente. Come si approccia al lavoro di ricerca?

Sono convinto che la vita dell’uomo finisca quando non si sentono più due necessità: una è strettamente fisiologica, ossia mangiare, e l’altra più cerebrale ossia la voglia e il piacere di raccontare storie che ci appassionano. Credo che un uomo che in sella a una bicicletta quotidianamente percorre 200 km, sopporta la fatica, gli infortuni, lascia sulla strada circa 5000 kcal, per sopravvivere e continuare in questa sua “missione” deve avere non solo capacità fisiche straordinarie ma anche un fuoco dentro indomabile che lo porta a vivere una vita dove è impossibile “bluffare” in tutto, soprattutto sulle emozioni, i desideri, le emozioni. Nel 1987 conobbi Jacques Antequil, il primo dei sette corridori ad essersi imposto al Tour de France, Giro d’Italia e Vuelta: era già provato da quel tumore che pochi mesi dopo se lo sarebbe portato via ma era impossibile ignorare quel fuoco negli occhi. Della sua vita sentimentale si è detto e scritto di tutto, era incline agli eccessi, alle distrazioni ma vi posso assicurare che la verità è molto più rocambolesca dei pettegolezzi.

 

Ha studiato il percorso del Giro d’Italia 2019? Chi vede tra i protagonisti?

Sarà un Giro con un’altimetria superiore agli ultimi 6 Giri d’Italia dove non esiste un padrone dichiarato e sul quale peseranno le assenze di Egan Bernal, Fabio Aru e Valverde. Dunque a mio avviso i protagonisti pronti a arsi battaglia per contendersi la maglia rosa sono fondamentalmente 5: il primo nome che mi sento di fare è quello dello sloveno Primož Roglič, reduce da un periodo fin troppo incredibile. Dico fin troppo perché con una corsa lunga e impegnativa come il Giro, essere entrati in forma troppo presto potrebbe essere un limite negli ultimi 8/9 giorni. Poi mi sento di fare il nome di Vincenzo Nibali che al Giro ha conquistato 2 vittorie e 5 podi totali: se dovesse ripetersi per la terza volta sarebbe il vincitore anagraficamente più “anziano” tra gli italiani che hanno festeggiato il Giro, superando anche Fiorenzo Magni. E’ un corridore esperto, ha carattere, è capace di preparare una corsa con quelle caratteristiche. Non ha la squadra migliore, ma per lui l’impresa non è proibitiva. Il terzo nome è quello del britannico Simon Yeates, un ciclista che fa divertire! Lo scorso anno peccò di inesperienza affrontando lo Zoncolan con un rapporto eccessivamente duro, scialacquando energie preziose che gli mancarono al momento di difendere la maglia rosa. Non si può poi sottovalutare quella che è la squadra in assoluto più forte ossia l‘Astana che con Miguel Angel Lopez ha un asso nella manica: certo il colombiano adotta tattiche “sfarfalleggianti” proprie dei corridori sudamericani, ma chissà, potrebbe veramente spiazzare tutti. L’ultimo talento che non si tirerà indietro e punta ad arrivare indossando la maglia rosa a Verona è Tom Domoulin, olandese dotatissimo e completo, uno che potrebbe già far tremare gli avversari con la crono di domani. Dopo un secondo posto al Tour e un secondo posto al Giro nel 2018, direi che il ragazzo potrebbe avere fame di vittoria.

 

Per quel che riguarda Nibali si sono letti pareri piuttosto contrastanti sul suo Team.Vorrei un Suo giudizio.

Insomma, direi che Vincenzo può contare su una squadra affidabile ma non straordinaria dove mancherà sicuramente l’apporto di Domenico Pozzovivo, a mezzo servizio dopo la caduta alla Freccia Vallone. Certo è che per la Bahrain Merida l’obiettivo quest’anno è vincere e anche per Vincenzo sarebbe bellissimo: terzo due anni fa, e assente nel 2018, Nibali sogna una tripletta che sarebbe storica.