L’allenatore è un uomo solo. Ha uno staff, una squadra, è l’uomo che con più titolo più richiedere al suo Club un colloquio, ma ogni tecnico sa bene che non c’è nessuno in grado di dividere con lui l’onore finale delle decisioni. Sta a lui la mossa decisiva, la considerazione puntuale, il colpo da maestro in grado di cambiare tutto. L’allenatore non può sbagliare nulla fondamentalmente perché non ha prove di appello. E’ colui che per primo divide le gioie ma spesso è l’unico deputato ad accollarsi il peso e le responsabilità delle sconfitte.

A livello di comunicazione un allenatore si trova di fatto a percorrere quotidianamente un percorso ad ostacoli lastricato di imprevisti e buche. Con l’utilizzo dei social la situazione è precipitata: se ai giocatori è perdonato praticamente tutto è anche perchè all’allenatore moderno è spesso obbligato a rispondere non più soltanto delle sue decisioni ma delle dichiarazioni di agenti, fidanzate, genitori, interpretare tweet e post polemici.

Nel caso specifico di Stefano Pioli fu una frase sibillina pronunciata dal tecnico a far infuriare i vertici della Fiorentina: sapere che Pioli avesse già deciso il suo futuro indipendentemente dalla scelta del Club di esercitare o meno il diritto di rinnovo del contratto fu un’esternazione che la proprietà gigliata non lesse come un invito a velocizzare la programmazione per il futuro, o come il lecito moto d’orgoglio di un professionista che non ci stava a legare il suo futuro unicamente ai risultati e alle suggestioni del presente.

Al post partita incriminato ossia quello contro la Lazio seguono delle prestazioni disastrose della squadra che non aiutano certo l’ambiente a distendersi: Pioli è sempre più solo, la società sempre più arroccata sulle proprie posizioni. Il KO contro il Frosinone fa il resto… L’esonero non arriva ma su Pioli piomba di fatto una destituzione silente, una reprimenda che il tecnico non accetta e alla quale risponde con le dimissioni.

Per il “Gattuso allenatore” il Milan probabilmente non è stato quel porto sicuro che il tecnico avrebbe meritato. E non solo per i trascorsi da giocatore… Gattuso al Milan ha detto di sì quando non tutti avrebbero accettato l’onore di subentrare ad un allenatore dal gioco piuttosto identitario come Montella il quale a sua volta si era sempre sentito messo in discussione. Il Milan di Mirabelli e Fassone non era stato costruito certo per Montella, tanto meno per Gattuso. Verrebbe da dire che forse non era neppure un progetto tecnico ben definito, fatto sta che nella scoppiettante campagna acquisti dell’estate 2017 erano usciti con insistenza i nomi di Conte, Emery, Ancelotti. Alla fine Montella era rimasto inaspettatamente alla guida del Milan: una sorta di traghettatore in attesa di un blasonato sostituto. Un altro uomo solo. Nei momenti migliori e in quelli peggiori la vita di Gattuso al Milan ha sempre avuto i rudi contorni della battaglia: un anno e mezzo dove ogni vittoria aveva il sapore della “tregua” e non del rilancio.

Dopo la sconfitta di San Siro contro la Fiorentina lo scorso Dicembre il suo destino pareva segnato: la decisione di utilizzare Calabria come mezzala pur di non schierare in campo Montolivo, i musi lunghi con Leonardo (una crisi smentita ma mai veramente chiarita), la spiazzante sincerità di fronte alle telecamere dove Gattuso si comporta esattamente come non molti colleghi fanno: si prende tutte le responsabilità, esattamente come ha fatto anche nelle ultime settimane dopo l’eliminazione del Milan dalla Coppa Italia e dopo una serie di risultati negativi che hanno messo concretamente a rischio l’obiettivo Champions League.

Il suo futuro come quello di Pioli a Febbraio, sembra lontano da quella panchina che il tecnico non si è mai arroccato a difendere a tutti i costi. Pioli e Gattuso hanno il grande merito umano di non aver mai messo il proprio interesse davanti a quello della squadra, hanno vissuto momenti diversi ma molto simili, hanno commesso sicuramente degli errori ma dal punto di vista della professionalità e dell’umiltà, Milan e Fiorentina saranno fortunati se ritroveranno allenatori altrettanti “per bene”.

 

 

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