Raggiungendo in treno la “Johan Cruijff Arena” vi apparirà dal finestrino con il volto dell’uomo a cui è dedicata: è uno di quei primi piani in bianco e nero in cui il giovanissimo numero 14 veste ancora la maglia a collo alto bianca dell’Ajax. E’ la fine degli anni ’60, siamo all’inizio della sua leggenda, tutti in Olanda e in Europa ammirano il suo talento ma ancora nessuno immagina quello che sarà il valore della sua rivoluzione calcistica. Nessuno tranne lui. Per utilizzare le parole di Pep Guardiola, quello che Cruijff ha fatto è stato scrivere una nuova “grammatica” dove il calcio aveva come necessità e filosofia principale quella di divertirsi e divertire il pubblico. Anteporre altre logiche a questo avrebbe significato svilire quello che è il vero spirito dello sport che nel calcio deve continuare a vivere.

Chi scrive di Cruijff non può esimersi dall’analizzare quelle che sono le sue due grandi rivoluzioni: la prima, quella fatta in campo e la seconda, forse più importante. Quella in panchina.
Amsterdam e Barcellona le sue città: nella sua autobiografia Johan scrive che dell’Ajax è figlio, del Barca un innamorato. E se in Catalogna sente la “sua” rivoluzione come compresa e assimilata, ai lancieri, paradossalmente, ammette di aver avuto vita più difficile: “A Barcellona riuscii in tre anni, mentre all’Ajax no, poiché la riorganizzazione non fu definita al 100% e quindi non funzionò…. (…) Una delle ragioni è che l’Ajax rimane una società quotata in borsa mentre in Barca è un Club. Ad Amsterdam dovetti avere a che fare con sindaci e direttori, a Barcellona rispondevo soltanto al Presidente.”

Un innamorato critico. Per Crujiff amare non significava esentarsi dal dire ciò che si pensa. Nel 2010 dopo una sconfitta per 2-0 dell’Ajax contro il Real Madrid nella sua rubrica su Telesport, Crujiff espresse con parole di fuoco tutto il suo rammarico nel vedere la deriva di quella che era prima di tutto la squadra del suo cuore. “Non voglio girarci attorno: questo Ajax è addirittura peggiore di quello di inizio anni sessanta prima che Rinus Michels arrivasse nel club. (…) Lo ammetto in me ribolle la rabbia. Perché questo non è l’Ajax. Questa è una squadra che non è in grado di mettere insieme tre passaggi consecutivi. Ha sei giocatori provenienti dal vivaio, quasi tutti sottomessi agli avversari. Che il club sia primo in campionato non vuol dire nulla. Mentre il direttore Rik van de Boog continua a sostenere che il vivaio è ottimo, vengono acquistati 3 attaccanti identici tra loro e non c’è nemmeno un’ala. (…). Il lavoro di una vita è pressochè perduto.”

Parole durissime che però non volevano rappresentare la chiusura ad una realtà a cui sentiva, sarebbe appartenuto per sempre. “Se l’Ajax avrà bisogno di me, io ci sarò.”

Un 2-0 contro il Real dove tutto sembrava finito, dove l’unica certezza sembrava la necessità di ricostruire un progetto fondato sulla vera identità e cultura calcistica dell’Ajax: i campionati di Eredivisie vinti negli anni sono importanti ma l’allure europeo è fondamentale per un Club che ha all’attivo 4 Coppe dei Campioni. Contro il Real si era infranta l’identità di un Ajax che 9 anni più tardi al Bernabeu spazza via l’identità dell’imbattibile Real Madrid e così facendo sembra un po’ riaffermare la propria. Quella di una squadra giovane, divertente e con grandi sogni.

Abbiamo incontrato a Milano Carlo Pizzigoni, giornalista e collaboratore di Sky, autore di “Locos por el Futbol” e con Federico Buffa di “Storie Mondiali” e “Nuove Storie Mondiali”. Tra gli autori della puntata “Buffa racconta: Johan Cruijff” e grande appassionato di calcio internazionale ci ha aiutato a capire e conoscere meglio un Club del quale non si parla poi così tanto…

“L’Ajax è un qualcosa che fa parte della città, basta aver visitato i luoghi dove sorgeva il De Meer per avvertire quella sensazione di orgoglio che tutti proteggono. Una storia che tutti condividono, fatta di grandi valori e non solo di grandi campioni. Con il cambiamento del mercato del calcio internazionale l’Ajax ha subito un andamento che in alcuni momenti può essere apparso altalenante ma è sempre stato in grado di risalire, mantenendo nei suoi cromosomi la capacità di giocare un calcio propositivo.  Ritengo che l’apice sia stato raggiunto nel 1995 con la squadra di Van Gaal, un gruppo vincente e creato nelle giovanili del Club. Un modello un po’ differente dall’originario, guidato da un tecnico che pur avendo ammirato Cruijff da lui è stato trattato con grande freddezza. Quei ragazzi che alzarono la Coppa nel 1995 ed attualmente ricoprono ruoli dirigenziali di rilievo all’interno della società come Overmars e Van der Sar hanno saputo portare la loro esperienza all’interno della squadra: non si limitano ad essere “figurine” ma conservano lo spirito e le idee che gli hanno portati sul tetto d’Europa. Idee che sono capaci di portare avanti. L’Ajax è un club che ampliando il suo sistema di scouting anche in Sud America non si limita più a formare giocatori ma vuole comprare giocatori funzionali al progetto, alla proposta di gioco per cui è internazionalmente riconosciuta e che Erik ten Hag incarna molto bene. La formula di gioco proposta in cui Tadic è centravanti, andando a togliere le opzioni Huntelaar e Dolberg, con Ziyech e Neres ha una prospettiva europea vincente dove un grande talento come quello di Frankie de Jong non può che brillare.”

Certo la scalata alla Champions League è un’impresa durissima, la Juventus è un Everest costruito per vincere che la giovane Ajax dovrà affrontare contando sul suo talento, la sua voglia di stupire e il suo entusiasmo, forte di un’impresa, quella del Bernabeu, che comunque vada rimarrà nella storia del Club, perché si sa, a volte la storia riparte proprio dal punto in cui si era fermata.

 

 

 

Photo by @IvanMarianelli
Special Contributor @CarloPizzigoni