Saper lasciar andare. Ieri, nell’articolo dove si analizzavano gli anni e le gestioni tecniche degli allenatori della Fiorentina durante l’ “era” Della Valle avevamo ricordato quella che era stata la decisione di Emiliano Mondonico che dopo un pareggio per 2-2 a Udine aveva deciso di rimanere coerente a sé stesso e al suo sentimento. Aveva voltato le spalle alla panchina della Fiorentina non alla Fiorentina: quella restava una parte del suo cuore e come tale meritava di essere tutelata. 

Stefano Pioli non ha accettato un comunicato che suonava molto come un attacco personale, un passo indietro bello e buono su una fiducia appena confermatagli: “La proprietà non è assolutamente disposta ad accettare quello che sta accadendo da qualche mese a questa parte . La squadra deve ritornare ad essere quello che era: competitiva, coraggiosa e orgogliosa della maglia che indossa. Quella che stiamo vedendo ora non è la Fiorentina che abbiamo visto nella prima parte del Campionato. (…) Ora è necessario che tutto questo venga confermato da risultati positivi che tutti ci aspettiamo ed ognuno dovrà assumersi la responsabilità del proprio operato.” Questi i passaggi maggiormente salienti che avranno oscurato le già deboli luci del rapporto tra il tecnico e la proprietà, che nelle parole di Cognigni si era già espressa piuttosto chiaramente riguardo la propria opinione sull’operato dell’allenatore.

Stefano Pioli era arrivato dalla tempesta nerazzurra in un mare ancor più agitato: il club nerazzurro e quello gigliato erano reduci da una stagione difficile dovuta anche ad errate scelte tecniche di inizio stagione. A Milano dopo le dimissioni di Roberto Mancini, fu commesso l’errore di affidare la squadra a Frank De Boer, un allenatore sicuramente molto valido ma totalmente impreparato a proiettarsi in una realtà e in una squadra che a lui erano estranee. A Firenze l’errore fu quello di non scegliere una risoluzione anticipata del rapporto lavorativo con Paulo Sousa, il quale addirittura già dal Febbraio 2016 aveva manifestato una certa insofferenza all’ambiente.

Insomma, la Fiorentina cercava un allenatore per cui la panchina viola rappresentasse un punto di arrivo, Pioli una realtà più lineare rispetto all’Inter che aveva vissuto lui, esonerato ad una manciata di giorni dal termine della stagione per motivazioni ancora oscure.

Normalizzatore. E’ questa la prima etichetta che gli viene cucita addosso, forse un retaggio delle passate esperienze, forse un’idea ispirata ai suoi concetti di gioco che comunque ci sono, restano ben definiti e lo identificano molto. Stefano Pioli per quanto riguarda la preparazione fisica è un allenatore che punta molto su carichi di lavoro pesanti, fa molta tattica, sogna una Fiorentina “verticale” in grado di arrivare rapidamente in porta sfruttando le accelerazioni dei suoi esterni. I viola sono una squadra che recupera bene palla ma che stenta in fase di costruzione, soprattutto quando trova le linee di passaggio chiuse: sembra avere poche idee. La struttura posizionale offensiva della Fiorentina è insomma basata sui lanci lunghi a cercare lo scatto di Muriel, Chiesa o Simeone.

Molti imputano alla strategia tattica di Pioli un’eccessiva attenzione verso la quantità e non verso la qualità, un disegno che all’organizzazione preferisce l’istinto, che porta necessariamente giocatori di talento come Federico Chiesa a preferire la soluzione individuale piuttosto il fraseggio con il compagno di squadra. E poi c’è il problema della continuità, una dote che la Fiorentina di Stefano Pioli non ha mai saputo far sua: l’altalena di risultati diventa anche emotiva e finisce con l’influire sulla classifica e sulla serenità dell’ambiente.
La Fiorentina di Pioli contro il Frosinone non può rappresentare niente di vicino a quello che è il progetto tecnico di un allenatore che può non entusiasmare ma che comunque conosciamo come molto diverso: Pioli dopo quei novanta minuti si è sentito completamente scaricato dalla società e piuttosto di imporsi ha preferito fare un passo indietro.

Della sua dimensione umana rimarrà anche questa scelta, così coraggiosa e impopolare tra i suoi colleghi. Come rimarrà la corsa sotto la pioggia verso Federico Chiesa dopo il terzo goal segnato alla Roma, l’immagine di lui sotto il settore ospiti a Torino che con i suoi giocatori ricorda Davide Astori. Rimarrà quella conferenza stampa di disperazione prima di Fiorentina – Benevento. La sua ferma volontà nel voler rafforzare il senso di appartenenza ad un progetto per rafforzare di conseguenza anche l’identità tattica della squadra.
Adesso ci sono dei cocci affilati da raccogliere al più presto, o per lo meno prima di ferirci in maniera irreversibile. Perché se il gioco di Pioli non è forse tra le eredità che più si ricorderanno della sua gestione, è comunque il suo calcio ad averci portato a giocare la semifinale di Coppa Italia. Il prossimo 25 Aprile ci saranno da trovare idee, uomini e motivazioni per non buttare via davvero tutto. 

Photo by @ Andrea Martini