Un toscano che siede su una panchina di Serie A. Un altro. Nel Maggio 2017 ci sono due fiorentini che a Ferrara e Benevento festeggiano due promozioni storiche e insperate: il primo è Leonardo Semplici, autore con la SPAL di un capolavoro romantico e straordinario. L’altro è Marco Baroni che alla guida dei campani da appena un anno riesce in un’impresa storica ossia conquistare la Serie A, un traguardo che il Benevento non aveva mai raggiunto e a cui forse non osava sperare.

Il progetto tecnico del Club appare chiaro fin dalle prime battute del calciomercato: puntare alla valorizzazione dei giovani più interessanti che si erano messi in luce in Serie cadetta, dare l’opportunità a chi aveva lottato per la promozione di godersi il sogno diventato realtà e trasformare quella stagione in un’occasione per crescere e proiettarsi in un’altra dimensione di calcio rispetto a quella conosciuta fino a quel momento.
I mezzi del Benevento sono limitati e la concorrenza agguerritissima se si considera che nella lotta salvezza, praticamente tutte le società sono economicamente più attrezzate o semplicemente possono contare su un bagaglio di esperienza più solido in materia di Serie A. La rosa non viene praticamente toccata e l’inizio della stagione è choc. Dieci sconfitte su dieci. C’è un particolare che però tutti sottolineano, ossia il calcio proposto dagli uomini di Baroni. Il Benevento vuole giocare a calcio a dispetto dei suoi limiti, certo si regge su equilibri fragili che rischiano di crollare nel momento in cui la squadra avversaria riesce ad aprire il primo varco, però non si arrocca, non rinuncia ad avere un’identità ed ha un’organizzazione che tutti gli avversari gli riconoscono.

Per Baroni questo vuol dire non arrendersi. Il 23 Ottobre i vertici del Club decidono però di esonerare il tecnico. Una taglio doloroso ma obbligato, si dirà nei giorni successivi. Probabilmente la decima sconfitta suona come un fallimento totale e non come uno dei rischi da mettere in conto di quell’“avventura”. Certo è che il licenziamento di Baroni fa sorgere non pochi interrogativi. Di nuovo l’ allenatore come capro espiatorio. L’intenzione della società è ovviamente quella di cercare un cambiamento ma la decisione è comunque dubbia. Nel suo Benevento di Baroni non aveva potuto contare su nessun rinforzo a differenza di De Zerbi, bravissimo a sua volta nel proporre un progetto tecnico interessante, encomiabile nel far restare la squadra concentrata e agonista fino all’ultima giornata, ma comunque aiutato nel mercato di Gennaio da qualche nuovo innesto.

Baroni nonostante in molti gli facciano notare come la riconoscenza si conferma non essere di questo Mondo, se ne va senza polemiche e rancori. Ringrazia di cuore i tifosi del Benevento, il Presidente Oreste Vigorito e augura alla città e alla squadra in primis ogni bene. “Un’avventura umana e sportiva indimenticabile. Nessuna buonuscita milionaria!”
Marco Baroni è uno dei toscani che in Serie A è riuscito a farsi notare per il coraggio delle proprie idee e che in Serie A è arrivato grazie ad una gavetta che parte da molto lontano, anzi vicino se si prende come riferimento casa sua: nel 2000 dopo aver appeso gli scarpini al chiodo rompe il ghiaccio alla Rondinella per poi passare al Montevarchi, carrarese, Sudtirol, Ancona, Siena (Primavera, toccando anche la prima squadra) e Cremonese. Nel 2013-2014 allenerà la Primavera della Juventus con cui vince il Torneo di Viareggio. Quella sarà la sua l’ultima esperienza nei campionati giovanili visto che nelle stagioni successive Baroni viene scelto per sedere sulla panchina di Virtus Lanciano, Pescara, fino appunto ad arrivare a Benevento.

La sua gestione tecnica a Frosinone invece, inizia a stagione in corso dopo l’esonero di Longo, protagonista a sua volta della conquista della Serie A ed esonerato lo scorso Dicembre dopo la sconfitta interna contro il Sassuolo: difficile per Baroni cambiare l’inerzia di una stagione dove il Frosinone comunque non si sta arrendendo, come dimostrato domenica scorsa contro il Parma. Per Baroni non è importante semplicemente finire a “testa alta” ma regalare a società, squadra e piazza la speranza che non sia finita: il suo è un modo di comunicare che ben si confà alla sua filosofia di allenatore che non ha paura del lavoro e delle strade in salita.
Affrontare e fare risultato contro la sua squadra non ha niente di scontato.

 

 

 

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