Venire a contatto con quelle che sono le emozioni di chi per professione ha scelto di farsi narratore delle gioie, delle speranze, delle delusioni e del coinvolgimento che lo sport genera attorno a sé, è un grande onore. Avere la possibilità di intervistare chi il grande sport lo racconta ogni giorno è un’occasione importante poiché regala un punto di vista d’eccezione, indispensabile per capire meglio un Mondo che si regge non soltanto sulla tecnica ma sulla passione e l’amore.

Sport Fiorentina ha intervistato in esclusiva Paolo Condò, firma storica per La Gazzetta dello Sport e dal 2015 volto di Sky Calcio e Sky Sport: del calcio ci dice che “è ed è stato la sua vita” e che raccontare di Campioni e di “gregari”, di protagonisti e di comparse, dà sempre stimoli e sensazioni bellissime.

 

  • La Juventus martedì sera ha impartito al calcio una grande lezione, ossia quella che dagli errori non solo si impara ma si esce più forti. Crede che l’identità della Juventus in Europa sia più forte che mai?

Credo che il protagonista di questa incredibile notte di Champions sia in primis Massimiliano Allegri, un tecnico che si conferma sempre molto bravo a recuperare nella partita di ritorno quando la prima gara è andata male. A volte riesce, altre è stato più sfortunato. Allegri è la conferma di come l’antica massima che recita “Non perdo mai, o vinco o imparo” possa essere applicata nella vita vera, nella competizione reale. Allegri nei 90 minuti del Wanda Metropolitano ha commesso degli errori ma li ha corretti ha convinto la squadra di avere i mezzi giusti per cambiare quel risultato e passare il turno. Ed ha avuto ragione.

 

  • Trieste è la città dove è nato ed ha iniziato la Sua carriera di giornalista. Sky ha da poco dedicato proprio al capoluogo friulano un bellissimo documentario dal titolo “Checkpoint Trieste”, una storia dove si intrecciano fatti legati alla politica e alla diplomazia internazionale con storie di sport. Vorrei conoscere il Suo parere su questa “perla” televisiva e magari sapere di più su i Suoi esordi giornalistici…

“Checkpoint Trieste” è un lavoro che definirei magistrale: Matteo Marani è bravissimo nell’operare una ricerca storica perfetta, scavare negli eventi, nei protagonisti, parlare con le persone giuste. Mi sento di consigliare davvero a tutti la visione di questo documentario che conquista fin dai primi minuti e fa conoscere una storia magari “meno nota” e anche per questo bellissima. Ho iniziato a scrivere per un settimanale di Trieste, dove esordii occupandomi di calcio semi-professionistico e di basket, proseguendo poi nella redazione de Il Piccolo dove ho avuto la fortuna di formarmi per tre anni scrivendo anche di cronaca. Una palestra molto importante per tutti i giovani giornalisti. Il passaggio a La Gazzetta dello Sport ha rappresentato la realizzazione di un sogno.

  • Sulle pagine della Gazzetta ha raccontato 7 Mondiali, 5 Europei, 2 Olimpiadi Estive e 8 Giri d’Italia. So che è impossibile pensare di poter indicare l’esperienza lavorativa “preferita”. Vorrei però che condividesse con noi un ricordo della sua carriera, una storia di sport…

Nel 1993 ero inviato in Sud America per raccontare le fasi di qualificazione al Mondiale di USA 94: ai tempi le qualificazioni non erano frammentate in due anni ma le squadre si scontravano su un calendario lungo circa tre mesi ossia il periodo estivo. Ho avuto modo di conoscere a fondo una realtà affascinante, contraddittoria, unica come l’America Latina, un luogo dove la passione per il Fùtbol è viscerale ma dove si possono raccontare storie di uomini e di luoghi incredibili.

 

  • Lei è l’unico membro italiano della giuria internazionale di France Football per assegnare il Pallone d’Oro. Ovviamente la rosa dei candidati di anno in anno è legata a parametri che devono tener conto dei risultati raggiunti, dei Trofei vinti con i rispettivi Club e Nazionali. Ma se Le chiedessi quali caratteristiche deve avere il Suo profilo perfetto del giocatore da Pallone d’Oro, che tipo di calciatore mi descriverebbe?

Credo che la dote più grande rimanga la capacità di essere decisivi al momento giusto, quello che conta. Insomma tutto quello che ha rappresentato per la Juventus, Cristiano Ronaldo martedì scorso. Ho visto molti Campioni eccellere nel talento ma mancare di freddezza: il calcio è competizione pura, non è un’esibizione come la danza, non conta essere i più divertenti o i più bravi. Quel che conta alla fine è vincere, quindi essere dalla parte di chi ha vinto e aver contribuito in modo determinante a quella vittoria è il top.

 

  • Condò Confidetial ha rappresentato un format vincente, apprezzato da tutti per la sua capacità di raccontare tante sfaccettature di grandi campioni. Quali sono le difficoltà e le soddisfazioni che si incontrano quando si deve gestire questo tipo di “rubrica”?

Beh, direi che già il fatto che un campione ti conceda un’intervista è un grande onore. Con l’esperienza ho imparato che i grandi dello sport hanno sempre qualcosa dentro, che banalizzarli è un grande errore. Mi sono sempre applicato affinchè dalle mie interviste non uscisse fuori una figura standardizzata del calciatore, ho sempre voluto che le mie domande potessero “scavare” un po’ più a fondo, che sapessero aggirare le difese che spesso inconsciamente un personaggio pubblico dello sport alza. Troppo spesso le dichiarazioni dei calciatori sono strumentalizzate per accendere sterili polemiche, una cosa che ovviamente loro odiano e che li porta ad essere diffidenti.

 

  • “Un Capitano” racconta la storia di un grande Campione, di un giocatore simbolo. Una bandiera che nelle pagine della sua autobiografia ha scelto di raccontarsi senza filtri. Quello di Francesco Totti secondo me è un libro per tutti gli appassionati di sport: è con questa idea che avete concepito il libro?

Ci siamo accordati immediatamente sulla necessità di scrivere qualcosa che il lettore percepisse come reale. Abbiamo affrontato con la massima trasparenza le questioni più spinose della carriera di Totti, non abbiamo girato attorno a niente. Dallo sputo a Poulsen, al calcio a Balotelli fino ad arrivare alle tensioni con Spalletti o agli insulti a Rizzoli: se avessimo scelto di sorvolare su certi argomenti il pubblico se ne sarebbe accorto, non avrebbe percepito l’autenticità che invece è propria di Francesco Totti.

  • C’è qualcosa che l’ha stupita di Totti dopo il lavoro svolto assieme per il libro?

Sicuramente la sua grande umanità. Non conoscevo Francesco prima di questa esperienza, adesso posso dire che in lui non si riconoscono molti tratti che invece sono propri dei Campioni, dei fuoriclasse. Totti per esempio non è una persona “feroce”, non vive nello spasmodico desiderio di primeggiare. E’ una di quelle persone che è bello avere come amico perchè fortemente buona.

 

  • Per Federico Chiesa, Firenze sogna un futuro simile a quello di Totti a Roma. Certo trattenerlo sarà sempre più difficile, intanto il popolo viola se lo gode e lo difende da qualche critica che ad essere sinceri pare un po’ eccessiva…

Chiesa ha le stigmate del campione. E’ un giocatore completo, forte anche di una personalità potente. Personalmente lo vedo come un pilastro della Nazionale del futuro. La Fiorentina se vorrà tentare la difficile impresa di trattenerlo dovrà cambiare la sua struttura, essere un Club in grado di disputare con continuità la Champions e l’Europa League. Per quanto riguarda le polemiche, posso dire che Chiesa magari ha commesso degli errori ma è talmente giovane e intelligente da poter ampiamente recuperare, ritrovando la stima di chi lo ha criticato. Errare del resto è umano…

 

  • Nel giorno dell’anniversario della sua scomparsa, il mondo del calcio ha tributato un ricordo importante a Davide Astori. Tra poco più di un mese ricorreranno i due anni dalla morte di Michele Scarponi per il quale Lei spese bellissime parole. Un uomo e un ciclista simpatico, disponibile, umano oltre che un grande scalatore…

Ho avuto la fortuna di poter conoscere Michele durante il Giro d’Italia. Persone con le sue qualità non possono non mancare al mondo dello sport, un mondo dove ad essere coltivati dovrebbero essere solo i valori migliori e che invece spesso scade in aberranti e becere polemiche. Non ho avuto la possibilità di conoscere di persona Davide Astori: guardandolo negli occhi certo si intuiva la profondità di un animo gentile, un animo che aveva conquistato tutti i suoi compagni di squadra e di Nazionale. Vedere come tutti i suoi amici e colleghi fossero sfasciati dal dolore è stato un colpo al cuore: nessun commento di circostanza, soltanto nera disperazione. Quel dolore cieco penso descriva molto il valore umano di Astori.
Certo sarebbe bello pensare che la forza positiva di questi uomini possa influenzare l’animo con cui ci si rapporta allo sport: purtroppo il calcio così come tante altre discipline finisce spesso col diventare lo sfogatoio di frustrazioni e bassezze, un’arena claustrofobica che ci fa chiedere come si sia arrivati ad una simile violenza verbale che a volte addirittura nemmeno si limita a rimanere tale.