Daniele Adani rispecchia perfettamente la ricerca di un modo diverso di raccontare il calcio, allontanandosi dalle solite trasmissioni in cui si intavolano discussioni infinite sulla moviola, si fanno stroncature oppure si cercano sensazionalismi. Quando intervistammo il giornalista Carlo Pizzigoni avevamo approfondito con lui le varie difficoltà affrontate nel rendere televisivo un linguaggio nuovo, che aveva come principale obiettivo quello di svecchiare l’approccio ‘classico’ spesso troppo superficiale e impersonale. Siamo un Paese dove c’è tantissima voglia di calcio ma forse viene meno quella di approfondirlo.
Sport Fiorentina ha intervistato in esclusiva Daniele Adani, volto tra i più noti di Sky Sport ed ex difensore centrale della Fiorentina di Trapattoni e Mancini: lo abbiamo chiamato in una settimana chiave per la stagione Viola ma non solo, dato che nelle prossime settimane si conoscerà quali saranno sono le squadre che accederanno ai Quarti di Finale di Champions League.

 

• Un goal segnato dal numero 9 della Fiorentina su assist di Chiesa. Il pareggio dell’Inter firmato da un uruguagio. Insomma, le analogie con il tuo goal del 2000 in Fiorentina–Inter erano tante. I tifosi viola non potevano che aspettarsi un miracolo allo scadere… Tu da difensore, che le reti le dovevi evitare, come vivevi un tuo goal?

Ho sempre cercato di mantenere e allenare un certo istinto del goal che penso di aver avuto da giocatore: saper pensare come un attaccante, sapere che la palla in qualsiasi istante poteva arrivare in una determinata zona del campo dove mi sarei potuto trovare. L’importante dell’intuizione, del muoversi con anticipo. Anche in quell’occasione sugli sviluppi di un calcio d’angolo rimanere in quella posizione, praticamente affiancato a dove si trovava Batistuta, si rivelò determinate per intercettare la palla rimessa dentro da Heinrich. Georgatos mi teneva in gioco, e la conclusione, devo dire piuttosto elegante, lasciò Peruzzi spiazzato.

 

• Si parla molto del tuo secondo addio al Brescia. Un club dove hai giocato dal 1994 al 1999, anno del tuo arrivo alla Fiorentina. Un legame quello con il Brescia che hai sempre ribadito essere stato forte, quindi cosa ti ha spinto ha lasciare una piazza per ti apprezzava così tanto per arrivare in maglia viola?

La consapevolezza che per me fosse finito un percorso e che fosse giusto iniziarne uno nuovo: un giocatore di 25 anni dopo aver giocato con continuità in Serie A capisce quando nella sua carriera c’è spazio per un cambiamento. Credo che tecnicamente il mio percorso a Brescia fosse terminato l’anno precedente alla mia partenza, poi l’arrivo di Baldini in panchina mi convinse a restare anche la stagione successiva.

• Mercoledì sera a Firenze arriva l’Atalanta di Gasperini per la semifinale di andata di Coppa Italia: la tua Fiorentina è stata l’ultima ad alzare questo trofeo. Posso avere la tua personale fotografia di quella notte?

Vincere a Firenze la Coppa Italia ha la potenza di una Coppa del Mondo. Tutto è amplificato dalla passione infinita dei tifosi. Giocammo la finale di ritorno contro il Parma a Firenze, un vantaggio che la prima parte della partita non riuscimmo a sfruttare: eravamo contratti, sembrava che l’aver vinto al Tardini ci frenasse. Sono stati 90 minuti di calcio intensi anche e soprattutto negli attimi più “sportivamente drammatici”: il gol di Nuno Gomes non solo ci ha regalato una gioia immensa ma ci ha tolto di dosso quel peso con cui sembravamo giocare. Ricordo i minuti finali, quelli dove sai che è quasi fatta, lo stadio completamente viola di sciarpe e bandiere. Personalmente ogni anno spero che la Fiorentina possa alzare questo trofeo: è passato davvero troppo tempo…

 

• In un’intervista hai dichiarato che ti eccitano le proposte di gioco, sottolineando come la proposta di gioco di Pioli ti interessi molto. A Firenze è arrivato con l’etichetta di “Normal One”, quasi come fosse un allenatore il cui gioco si perde nello scontato. Immagino tu non condivida…

Assolutamente no! In Italia si danno le etichette. Si esalta il bello soltanto perché va di moda e nella normalità si cerca la polemica perché non si sa comprendere. Pioli è un allenatore con un pensiero definito, una grande preparazione sulle spalle e sopratutto un bel po’ di gavetta. A volte, quando hai grandi giocatori e poche idee la fortuna ti assiste e riesci a raccogliere grandi risultati poi la preparazione e il pensiero sono fondamentali per avere una continuità. A Firenze la società se ne accorse con Terim…

 

• E a proposito di etichette, è piuttosto svilente che un allenatore come Silvio Baldini sia ricordato in Italia per un “calcio nel sedere”… hai dichiarato che non escludi di tornare a guardare il calcio dalla prospettiva della panchina. Quanto ha influito nel tuo pensiero l’amicizia e il lavoro con Silvio Baldini?

Baldini è prima di tutto un uomo libero. Una persona leale, un allenatore preparato che crede nei sogni e cerca di comunicarlo ai suoi uomini. I valori nel calcio come nella vita riescono poi a fare un grande miracolo, cioè tirare fuori una forza d’animo e una libertà che magari noi stessi non credevamo di avere. Non so se la Carrarese riuscirà nel miracolo sportivo che sta lottando per realizzare ma l’importante è lavorare con passione e mettere in campo tutto quello che possibile dare.

• Hai assistito all’inedita doppia Finale di ritorno di Copa Libertadores. Da spettatore e da grande appassionato di Fútbol cosa hai provato quella sera al Monumental?

Emozioni contrastanti e potenti. C’era la voglia di assistere a quella partita alla quale è seguita la grande frustrazione nel rendermi conto della situazione che si era venuta a creare: però c’è stata sempre la sensazione di essere nel posto giusto, nel luogo che più al Mondo celebra la passione per questo sport. E quando sei un posto come quello sai che il calcio non potrà fermarsi nemmeno davanti al più forte dei sistemi.

 

• Parli spesso della tua passione per l’approfondimento, per il confronto. Riflettere sul “perché” si arriva a certe conclusioni, a certi finali. Insomma, non c’è solo la diretta…

Andare in diretta, partecipare a una trasmissione è la cosa più semplice. Più immediata. Credo che la preparazione, la voglia di avere una certa capacità analitica deve sempre essere presente, che sia un valore aggiunto. Quando ci si rapporta con l’attualità non ci si può soffermare a quella, è importante capire tutti gli aspetti di quello di cui stiamo parlando.

 

• Nella visione del gioco che più ti appartiene, l’attaccante è un ruolo al quale non ci si deve limitare a chiedere soltanto il goal ma un giocatore protagonista in ogni zona del campo… Vorrei quindi conoscere la tua opinione su Giovanni Simeone….

Simeone è un giocatore del quale avere stima. Sa mettersi a disposizione dei compagni e la generosità è ripagata sempre con altrettanta generosità. Ha faticato nella prima parte della stagione così come lo scorso anno, il girone di ritorno è partito decisamente meglio: l’errore più grande che potrebbe fare è quello di perdere la sua attitudine naturale, la sua voglia di correre, di svariare per il campo. Non deve farsi condizionare dalle realizzazioni. Duvan Zapata è l’esempio più fulgido di quello che sto dicendo: sta raccogliendo adesso i frutti del suo lavoro, un risultato sul quale in pochi avrebbero scommesso le scorse stagioni. Simeone deve continuare a credere alla qualità del lavoro che sta facendo così come la squadra che ha attorno: i risultati importanti non sempre arrivano con i bomber da 25 reti a stagione, anzi c’è stata più di una squadra Campione d’Italia che aveva come migliori marcatori giocatori andati a segno 10/12 volte. Si torna sempre lì, alla voglia di approfondire il calcio, capirlo…una cosa che va fatta con buona vista e buona memoria.